26 Non abbiate dunque paura di loro, poiché nulla vi è di nascosto che non sarà svelato né di segreto che non sarà conosciuto. 27 Quello che io vi dico nelle tenebre voi ditelo nella luce, e quello che ascoltate all’orecchio voi annunciatelo dalle terrazze. 28 E non abbiate paura di quelli che uccidono il corpo, ma non hanno potere di uccidere l’anima; abbiate paura piuttosto di colui che ha il potere di far perire nella Geènna e l’anima e il corpo. 29 Due passeri non si vendono forse per un soldo? Eppure nemmeno uno di essi cadrà a terra senza il volere del Padre vostro. 30 Perfino i capelli del vostro capo sono tutti contati. 31 Non abbiate dunque paura: voi valete più di molti passeri! 32 Perciò chiunque mi riconoscerà davanti agli uomini, anch’io lo riconoscerò davanti al Padre mio che è nei cieli; 33 chi invece mi rinnegherà davanti agli uomini, anch’io lo rinnegherò davanti al Padre mio che è nei cieli.
Il «Discorso Missionario» occupa il cap. 10 del Vangelo di Matteo (9,35 a 11,1). È strutturato in tre parti: 9,35 – 10,5a: introduzione narrativa; 10,5b-42: discorso d’invio; 11,1: conclusione narrativa.
Il nostro testo contiene tre detti rassicurativi (10,26-27; 10,28; 10,29-31) e uno conclusivo su confessione e rinnegamento (10,32-33).
26 Non abbiate dunque paura di loro, poiché nulla vi è di nascosto che non sarà svelato né di segreto che non sarà conosciuto.
Mediante due passivi teologici («sarà rivelato» e «sarà conosciuto»), viene affermato che Dio stesso è garante del messaggio, e dunque nessuna violenza potrà impedirne la diffusione.
27 Quello che io vi dico nelle tenebre voi ditelo nella luce, e quello che ascoltate all’orecchio voi annunciatelo dalle terrazze.
L’azione di Dio, comunque, non dispensa gli inviati dall’imperativo etico di essere essi stessi responsabili dell’annuncio.
28 E non abbiate paura di quelli che uccidono il corpo, ma non hanno potere di uccidere l’anima;
L’attenzione non è più incentrata sul messaggio, ma sul destino dei messaggeri. È un richiamo fatto ai discepoli per distoglierli dalla paura di fronte al martirio.
abbiate paura piuttosto di colui che ha il potere di far perire nella Geènna e l’anima e il corpo.
Si inserisce la tematica del “timore di Dio”, molto sviluppata nella Bibbia. Il timore reverenziale di Dio deve indurre gli inviati a superare la paura della morte fisica, che non costituisce in alcun modo l’evento decisivo.
29 Due passeri non si vendono forse per un soldo? Eppure nemmeno uno di essi cadrà a terra senza il volere del Padre vostro.
Il terzo «non abbiate paura» è preparato da due immagini, con cui fa corpo. I due passeri che si vendono per un soldo, nel gergo rabbinico, stanno ad indicare qualcosa di valore minimo e richiamano Matteo 6,26 («Guardate gli uccelli del cielo: non séminano e non mietono, né raccolgono nei granai; eppure il Padre vostro celeste li nutre. Non valete forse più di loro?»), dove l’immagine ha la funzione di dimostrare che il Padre si prende cura degli uomini. Allo stesso modo Dio non resterà indifferente di fronte alla sorte degli inviati.
30 Perfino i capelli del vostro capo sono tutti contati. 31 Non abbiate dunque paura: voi valete più di molti passeri!
La seconda immagine porta come esempio i capelli della testa, che sono tutti contati. L’Antico Testamento conosce l’esempio paradossale di un solo capello che non cade dalla testa di chi ha trovato protezione presso Dio o presso un potente (1Sam 14,45; 2Sam 14,11; 1Re 1m52). Nulla sfugge all’Onnipotente.
32 Perciò chiunque mi riconoscerà davanti agli uomini, anch’io lo riconoscerò davanti al Padre mio che è nei cieli;
Si conclude con il detto sulla confessione e il rinnegamento «davanti agli uomini». In Matteo, «confessare» ha un carattere pubblico e legale e si trova in stretta relazione con «testimoniare».
33 chi invece mi rinnegherà davanti agli uomini, anch’io lo rinnegherò davanti al Padre mio che è nei cieli.
Il verbo che generalmente significa «negare», passa qui a quello più specifico di «rinnegare» ed è quasi sempre seguito da un complemento oggetto costituito da un pronome personale. Nel detto, Matteo pone in evidenza il ruolo di Gesù attraverso «io». Con il potere del giudizio che Dio gli ha conferito, egli pronuncia la sentenza escatologica di salvezza o di condanna. È questo giudizio che possiede un carattere definitivo e irrevocabile, il solo da prendere in considerazione.
Il Signore ci invia. E tutti siamo inviati, nessuno è escluso, e nessuno si può escludere. Se ci si tira indietro non si è veramente discepoli. È una questione di fede, di fiducia. Perché Gesù non ci affida una missione troppo grande per noi, e anche quando questa ci sembra troppo grande per noi, ci assicura che grazie al suo aiuto potremmo portarla a compimento.
Per questo non dobbiamo aver paura della persecuzione, delle difficoltà, degli intoppi e dei fallimenti. È compito di Dio rendere chiaro il messaggio e ricevibile il vangelo. Ma noi dobbiamo fare tutto quello che è necessario per la missione. Quello che il Signore ci suggerisce all’orecchio di notte, cioè nell’intimo del nostro cuore, nel nostro rapporto personale con lui, dobbiamo avere il coraggio di annunciarlo a voce alta di giorno dalle terrazze, perché più persone possibili lo ascoltino.
Insieme a Dio niente può spaventarci. Anche il martirio, il dono della vita, il sacrifico di sé stessi, è poca cosa. Quello che è in gioco non è la nostra vita terrena, ma la nostra vita eterna. Di fronte alla possibilità di perdere la salvezza, conservare questa esistenza terrena sembra davvero inutile. Perché solo la fedeltà alla missione ci fa guadagnare la beatitudine.
Avremo la sensazione di essere poca cosa, esseri piccoli e inermi. Forse anche incapaci e inutili. Certamente peccatori e strumenti inefficaci. Ma il Padre si prende cura di noi. Siamo piccoli uccellini nelle sue mani.
- Padre, mi ritrovo qui, adesso, tra le tue mani, come un uccellino ferito…
- Gesù, tu mi chiami a testimoniare il tuo amore…
- Spirito Santo, dammi la forza e il coraggio…