Dopo aver pubblicato la lectio divina sulla chiamata dei primi discepoli, che potete trovare qui, mi è venuta voglia, per mia curiosità personale, di conoscere meglio la storia di questi uomini, testimoni oculari della vita di Gesù. Questo perché, lo devo ammettere, la mia conoscenza si ferma alle notizie fornite dal Nuovo Testamento, e scoprendo che le reliquie di Andrea sono conservate ad Amalfi, mi sono domandato: ma come accidenti ci sono arrivate? E più cercavo, più la questione si faceva interessante. E allora perché non condividere questa ricerca? Ed eccoci qui.
Quello che sappiamo dal Nuovo Testamento
Partiamo dalle basi: Andrea, insieme al fratello Simone, abitava a Betsaida e faceva il pescatore. Il Vangelo di Giovanni (1,40) ci racconta che insieme a Giovanni, era dapprima discepolo del Battista, ma dopo averlo sentito chiamare «l’agnello di Dio», decide di seguire Gesù. Successivamente conduce a Gesù il fratello Simone, che verrà rinominato Pietro (Gv 1,40-42).
La vocazione dei due fratelli lungo il lago ci viene raccontata da Matteo (4,18) e Marco (1,16), e quest’ultimo aggiunge anche che usciti dalla sinagoga vanno a casa insieme a Gesù, Giacomo e Giovanni (Mc 1,29). Il nome di Andrea compare sempre nelle liste degli Apostoli (Mt 10,2; Mc 3,18 e Lc 6,14). È lui che prima del segno della moltiplicazione dei pani dice a Gesù che c’è un ragazzo che ha cinque pani d’orzo e due pesci (Gv 6,8-9), e a Gerusalemme si fa intermediario di alcuni greci che volevano vedere Gesù (Gv 12,22).
L’ultima volta che vediamo Andrea è all’inizio degli Atti degli Apostoli: dopo l’Ascensione di Gesù, è insieme agli altri apostoli (At 1,13), e «ad alcune donne e a Maria, la madre di Gesù, e ai fratelli di lui» (At 1,14).
Dopo la Pentecoste
Dopo la Pentecoste, come per quasi tutti gli apostoli, si perdono completamente le tracce di Andrea. Ipotizziamo che siamo morto, come tutti gli altri, prima del 70.
Unica pista possibile è quella di Eusebio di Cesarea (265-340), allievo di Panfilo (III secolo – 309), nella scuola teologica fondata da Origene (185-254). Nella sua Storia ecclesiastica (III, 1), Eusebio, ricordando forse (perché non è chiaro) un insegnamento di Origene, dice che Andrea operò in Scizia, ossia, a quanto pare, sulle coste romane del Mar Nero al sud del Danubio, popolate da antiche colonie greche.
Esistono anche degli Atti apocrifi di Andrea, testo conosciuti da Eusebio, ma andato perduto nella sua integrità: se ne sono conservati solo alcuni frammenti in greco e un riassunto di Gregorio di Tours (538-594) in latino del VI secolo. Questi Atti raccontano le vicende dell’apostolo in Tracia e del suo martirio in Acaia, ma non possono essere datati prima della fine del III secolo e hanno un aspetto nettamente leggendario. Il Decreum Gelasianum, attribuito a papa Gelasio (492-496) ma in realtà originario della Gallia meridionale del VI secolo, inserisce gli Atti di Andrea nell’elenco delle opere da rigettare, ma questo non toglie che possano contenere qualche eco di ricordi più antichi, anche se oggi non rilevabili.
Quando ci si mette la politica
Più tardi, volendo la Chiesa di Bisanzio, la vecchia Costantinopoli, fondare «storicamente» la stua pretesa di preminenza ed egemonia sull’Oriente, rispolverò il leggendario ministero apostolico di Andrea, guarda caso, proprio in quelle zone. Quindi si attribuì la fondazione della comunità di Bisanzio ad Andrea, che cominciò ad essere indicato come il “Primo Chiamato”. Naturalmente era tutta una questione squisitamente politica, nella contrapposizione a Roma, che poteva vantarsi di apostoli come Pietro e Paolo.
Sull’esempio di Bisanzio, altre Chiese hanno approfittato di Andrea. Una tradizione del XII secolo lo vuole predicare sul Volga e sul Dnepr (due fiumi che ricordo: attraversano tutta la Russia europea e sfociano nel Mar Caspio): per questo Andrea è oggi patrono della Russia.
Volendo strappare un sorriso, ricordo un altro genio (sic!): George Alexandrou, volendo svelare perché Andrea è anche il patrono della Romania, nel 2010 ha scritto un libro in cui spiega che l’apostolo avrebbe passato 20 anni nei territorio dei Daco-Romani (popolazione mista formata dall’unione di Daci e Romani, da cui, guarda caso, discende il popolo romeno), vivendo in una caverna nei pressi del villaggio di Ion Corvin, oggi proprio in Romania. Uno dei tanti problemi di questa teoria, ma la prima che mi viene in mente, è che la Dacia fu conquistata dai romani solo tra il 101 e il 106. Forse un po’ troppo tardi.
La morte, la sepoltura e le reliquie «viaggianti»
Secondo la tradizione, Andrea viene martirizzato a Patrasso in Acaia (Grecia) sotto il regno dell’imperatore Nerone (37-68), forse nel 60, per crocifissione. Qui le spoglie dell’apostolo riposano, ma non per troppo tempo. Il corpo viene traslato a Costantinopoli, secondo San Girolamo (347-419/420) nel 357, per ordine dell’imperatore Costanzo II (317-361).
Nel VI secolo due reliquie (una mano e un braccio) furono portate da Costantinopoli a Roma da un certo Andrea, maggiordomo di palazzo dell’imperatore bizantino Maurizio (539-602). Successivamente furono donate a Venanzio (…-603 ca) vescovo di Luni (Liguria) dal papa Gregorio Magno (540 ca-604) suo grande amico. Per custodire le reliquie fu costruita nel X secolo la chiesa di S. Andrea a Sarzana (Liguria), ad oggi l’edificio più antico in città, e da allora l’apostolo è il Patrono della città. Le sue reliquie vengono oggi conservate nella Cattedrale.
Alla metà del X secolo, Andrea divenne Santo Patrono della Scozia. La storia è naturalmente leggendaria: delle reliquie sarebbero state portate miracolosamente a Oengus I Mac Fergusa (729-761), re dei Pitti. Vi sono buone ragioni per credere che queste reliquie facessero parte della collezione del vescovo Acca (668-740), abate di S. Andrea e vescovo di Hexham, e successivamente entrate in possesso dei Pitti. La devozione scozzese ad Andrea è testimoniata anche dalla bandiera, che presenta appunto una croce decussata, cioè a X, bianca su fondo blu.
A Città di Castello (Umbria), nella chiesa di S. Francesco, si conserva una reliquia dell’osso di un braccio di Andrea, che una tradizione locale vuole donata da papa Celestino II (1100-1144), nativo della città e già canonico della Cattedrale, a un monastero locale dove viveva una sua sorella. Oggi nella Pinacoteca Comunale le si può ammirare in uno splendido reliquiario in argento del XV secolo.
La maggior parte del corpo di Andrea rimasero a Bisanzio fino al 1208, quando il cardinale Pietro Capuano (…-1214) le portò nella sua città natale: Amalfi. Non c’è bisogno di spiegare come mai fu possibile una cosa del genere: Amalfi era ancora una delle super-potenze del Mediterraneo, una delle repubbliche marinare insieme a Pisa, Venezia e Genova. Ma non se la passava bene: nel 1131 era stata conquistata dai Normanni di Ruggero II d’Altavilla re di Sicilia; nel 1135 e poi nel 1137 era stata saccheggiata dai pisani; nel 1343 una tempesta, e il conseguente maremoto, avevano distrutto gran parte della città.
Secondo una leggenda, san Francesco d’Assisi si recò nel 1218 nella Cattedrale di Amalfi per venerare le reliquie dell’apostolo e rimase in città per due anni, fondando il convento di Santa Maria degli Angeli, poi dedicato a Sant’Antonio.
Nel 1461, Tommaso Paleologo (1409-1465), despota di Morea (Grecia), deposto dagli Ottomani l’anno prima, donò a papa Pio II (1405-1464) la testa di Andrea, insieme a un mignolo e alcune piccole parti della croce. In cambio voleva l’impegno per una crociata che avrebbe dovuto riconquistare Costantinopoli. Il papa accettò il dono promettendo «solennemente» di restituire le reliquie quando la Grecia fosse stata liberata. Ma, naturalmente, la crociata non ci fu mai, e le reliquie restarono a Roma
Sempre nel XV secolo, la testa di Andrea venne posta in una teca in uno dei quattro pilastri principali della Basilica di San Pietro. Il resto delle reliquie arrivarono a Pienza (Toscana) conservate in un antico reliquiario. Nel settembre del 1964, come gesto di apertura verso la Chiesa ortodossa greca, Paolo VI (1897-1978) consegnò il reliquiario pietino alla chiesa di Patrasso, ancora oggi nella chiesa di S. Andrea. In cambio il papa donò alla cattedrale di Pienza il busto-reliquiario con la testa di Andrea conservato in Vaticano.
Nel 2007 una reliquia dell’apostolo fu consegnata dal vescovo di Amalfi a Bartolomeo (1940-…), patriarca ecumenico di Costantinopoli, perché fosse conservata nella cattedrale di S. Giorgio a Istanbul.
L’iconografia di Andrea
Andrea, come pure Pietro e Paolo, ha caratteristiche iconografiche ben precise fin dalle rappresentazioni più antiche. È sempre descritto con volto severo, barba e capelli grigi o bianchi arruffati; come gli altri apostoli indossa sandali e tunica e regge talvolta un rotolo o un libro.
Le più antiche raffigurazioni sono del V secolo, mentre in Italia giungono tra il VI e l’VIII secolo. Ne sono esempi i mosaici ravennati in S. Vitale (Immagine 1) e in S. Apollinare Nuovo (Immagine 2).
A partire dal IX secolo compaiono, dapprima nei codici greci e poi in quelli latini, gli attributi del libro e della croce latina. Ispirandosi sempre agli Atti di Andrea, gli artisti medievali scelsero la croce come attributo del santo. Si veda il timpano di S. Andrea a Vercelli (Immagine 3).
La tradizione iconografica di Andrea con la croce latina continuerà tra Quattrocento e Cinquecento nelle opere del Pinturicchio (Immagine 4), Tintoretto (Immagine 5) e Masaccio (Immagine 6). Mentre parallelamente si sviluppò una tradizione di origine greca che ebbe maggior fortuna nelle opere d’arte, secondo cui si preferì la cosiddetta «croce di s. Andrea», con i bracci uguali posti a X.
Nel XVII sec. la croce decussata trionfa definitivamente: si vedano come esempi i dipinti di Ribera (Immagine 7), Murillo (Immagine 8), e una statua di François Duquesnoy (Immagine 9). Probabilmente la scelta di una croce diversa da quella latina fu fatta con l’intento di distinguere la crocifissione di Cristo da quella degli apostoli. Pietro e Andrea, fratelli ed entrambi pescatori, furono crocifissi dopo aver predicato il Vangelo, l’uno a testa in giù, l’altro su una croce decussata.
Buon cammino